Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia)
bellissima e triste. E come suona attuale oggi, dove per molti il muro si è alzato fino a toccare il cielo. Ciao,
Quella muraglia purtroppo fa parte della nostra vita, specialmente in questo periodo oscuro.
Tra le sue, una delle mie preferite, assieme a “Ho sceso dandoti il braccio…”
Chapeau.
Due poesie così lontane tra loro nel tempo, ma sempre così profonde.