Hamed che aveva la testa tra le nuvole

Il maestro glielo diceva sempre quando per punirlo bacchettava le sue mani: «Tu hai la testa tra le nuvole!».

Hamed pensò al maestro Youssef quando Pedro, un medico di Emergency arrivato da un mese al villaggio, gli rubò un bacio in una sera di giugno.
«Pequeño, eres mi nefelibata!» (Sei il mio piccolo sognatore!) gli diceva Pedro, alludendo al fatto che avesse la mente persa tra le nuvole dei suoi pensieri. E Hamed sorrideva.

Alla fine dell’estate, Pedro tornò a Madrid. Non si sarebbero più rivisti.
Ma, con la partenza del giovane medico, arrivarono gli uomini vestiti di nero. In lunghe file scure, salivano verso il villaggio sollevando polvere e sabbia. In poche ore se ne impadronirono.

Hamed assistette attonito alla sequela di orrori degli sconosciuti vestiti di nero, con lo sguardo basso per evitare che leggessero il terrore nei suoi occhi scuri, fino a quel maledetto mercoledì.

A calci gli uomini del califfo buttarono giù la porta della casa di Hamed. Urlando misero a soqquadro ogni cosa, finché non lo trovarono rannicchiato in un angolo. Lui non capiva, provava solo terrore.

Subì ogni genere di tortura durante quella notte senza fine.
A mezzogiorno gli intimarono di alzarsi. Il volto tumefatto di Hamed non aveva più niente di umano. Lo obbligarono a salire le scale, che al giovane sembrarono infinite.

«Guardate questo rifiuto umano!» urlò quello che doveva essere il capo degli uomini in nero. «Questa è la fine che fanno i sodomiti!».
Solo allora Hamed capì di essere stato tradito da qualcuno degli abitanti del villaggio, solo allora comprese il perché di quella notte di sevizie. Continua a leggere “Hamed che aveva la testa tra le nuvole”

Foibe

Straniera al nostro martirio
è la memoria vostra:
tace e più non ode il mugghio
che erose le calcaree rocce
che inumarono le esistenze
le anime nostre legate
dall’indeformabile dolce
trafilato d’acciaio
e solo le torrentizie acque
placano l’arsura delle gole
soffocate in quegli antri
che voi chiamate foibe.

(Salvatore Castrianni, “Ladro di emozioni“, 2006) Continua a leggere “Foibe”

Lacrime impure, il gesuita perfetto

Ho divorato questo libro in un paio d’ore. Letta l’ultima parola, un senso di inquietudine mi ha assalito, come un brivido febbrile che scuote tutto il corpo. Un pugno allo stomaco forse, un tuffo in un passato doloroso.

“Lacrime impure” quelle che ho versato non appena ho chiuso il libro, riaprendo una ferita di un passato ormai lontano, che pare appartenere a un’altra persona, non a me.

Furio Monicelli descrive magnificamente l’annullamento della propria personalità, della ricerca personale, dello spirito critico, aspetti che divengono “immorali” per un “buon” gesuita. Continua a leggere “Lacrime impure, il gesuita perfetto”

I limoni (Eugenio Montale)

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta. Continua a leggere “I limoni (Eugenio Montale)”

Si dubita sempre delle cose più belle

«È vero, tu hai ragione, come sempre, quando dici che si dubita sempre delle cose ci stanno troppo a cuore, che si teme di perderle, perché la vita è tanto triste, perché il destino è tanto avaro. Ma io, Renata, io che dubito di tante cose, io che il troppo pensare ha fatto così incerto ed esitante, io ho una certezza, salda, incrollabile, superba: che l’amor tuo sarà la consolazione di tutta la mia vita, che assorbirà tutte quante le mie potenze affettive, tutta quanta la mia capacità di amare». Continua a leggere “Si dubita sempre delle cose più belle”

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